La tecnologia scientifica avanza con sempre più sofisticate apparecchiature per la valutazione immediata dei tumori, che oggi sono in continua crescita. Poco si sente parlare di elastosonografia, invece, attualmente questo tipo di esame ecografico non invasivo consente la valutazione immediata (real time) dell’elasticità dei noduli anche se posizionati in profondità e non palpabili. Pertanto la metodica, inizialmente utilizzata per la diagnosi differenziale dei noduli mammari, recentemente è stata applicata anche allo studio di altri organi come fegato, tiroide, testicolo e linfonodi.
L’elastosonografia è un metodo ecografico che fornisce informazioni riguardo l’elasticità dei tessuti. Le proprietà meccaniche dei tessuti molli dipendono dalle macromolecole che li compongono e dalla loro organizzazione strutturale. Una delle proprietà meccaniche è l’elasticità che determina la deformazione o distorsione del tessuto in risposta ad una compressione applicata dall’esterno. Il principio di base dell’elastosonografia risiede nel fatto che la compressione del tessuto esaminato con la sonda dell’ecografo produce una deformazione, valutata come variazione della distanza tra due punti, differente a seconda del suo grado di “comprimibilità”, minore nei tessuti duri e maggiore nei tessuti soffici, che può essere rilevata e quantificata attraverso software dedicati. Per tale ragione l’elastografia, in particolare quando effettuata su organi superficiali, è attualmente considerata una sorta di “palpazione elettronica”. I tumori maligni sono fino a 10 volte più rigidi ed incompressibili dei tessuti circostanti. Inizialmente la metodica è stata utilizzata prevalentemente nello studio della mammella che normalmente è costituita da strutture molto elastiche ed omogenee, e si presta ad una facile ed omogenea compressione che consente di evidenziare con chiarezza alterazioni patologiche caratterizzate da ridotta elasticità con certezza diagnostica di circa il 97,4%.
L’esame è facilmente eseguibile con tempi di esecuzione brevi e permette, spesso, di ridurre il ricorso a procedure invasive (come l’ago-aspitato) nei casi di noduli della mammella che appaiono dubbi alla mammografia ed alla tradizionale ecografia. Non solo, ma l’elastosonografia consente anche di riconoscere, come carcinomi, alcune lesioni nodulari senza segni caratteristici di malignità all’ecografia standard. L’elastografia potrebbe pertanto ridurre i falsi positivi e la richiesta di procedure interventistiche incrementando la specificità (valore predittivo negativo per tumore). L’acquisizione elastografica utilizza una scala cromatica che varia dal blu intenso per le lesioni più rigide al rosso-verde per le lesioni elastiche e quindi benigne. Tale tecnica risulta per il paziente sovrapponibile ad una comune ecografia e richiede, relativamente all’organo in esame, la stessa preparazione di un’ecografia basale. Sul tessuto oggetto di studio vengono selezionate delle ROI (regioni di interesse) di grandezza tale da inserire la struttura da esaminare ed un’ampia zona di tessuto circostante.
Oltre alla mammella, l’elastosonografia è applicata anche in campo epatologico per la valutazione del grado di elasticità del parenchima epatico (in pazienti con epatopatia cronica). La possibilità di quantificare il grado di fibrosi epatica riveste una notevole importanza non solo nella valutazione della progressione della malattia cirrotica e nel monitoraggio dell’efficacia della terapia, ma anche nella diagnosi precoce di cirrosi, risultando più sensibile rispetto agli usuali parametri clinici ed ecografici: ciò è potenzialmente utile per lo sviluppo di farmaci in grado di interferire con il processo di progressiva “fibrotizzazione” ed eventualmente di bloccarlo il prima possibile. E’ possibile dunque ottenere in modo completamente non invasivo e, attraverso specifici accorgimenti, ripetibile, informazioni precedentemente fornite soltanto dalla biopsia epatica. Studi prospettici multicentrici sono comunque necessari per valutare l’accuratezza dell’elastometria epatica per la valutazione della fibrosi nelle malattie croniche del fegato a diversa eziologia, allo scopo anche di individuare i valori ottimali di cut-off nei diversi sottogruppi.
Nello studio dei noduli tiroidei l’elastosonografia ha dimostrato, indipendentemente dalle dimensioni, che noduli “duri” sono associati ad un più elevato rischio di malignità. E dove vi è incertezza diagnostica del citoaspirato l’elastografia a volte è più chiarificatrice.
Il tipico sistema per l’elastografia è costituito da un tradizionale ecografo, affiancato da un sistema di elaborazione delle immagini e da un dispositivo che consente la rappresentazione dei risultati dell’elaborazione (modulo elastografico). In questo caso la sonda ecografica oltre a permettere di ottenere le immagini tradizionali in B-mode in scala di grigio (rappresentazione dell’anatomia del distretto in esame), viene utilizzata anche per produrre uno stimolo meccanico sul tessuto e la risposta a questo stimolo da parte del tessuto in esame sarà rappresenta in scala cromatica di “durezza” e mediante valori numerici.
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